Oltre i bias

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Immagina di dover assumere un collaboratore per una posizione in cui un nuovo punto di vista sarebbe utile. Mentre riprende la selezione ti ritrovi, però, attratto da un candidato che è simile per età e background alle tue risorse attuali. Ti convinci di quanto sia importante costruire un gruppo coeso e ti persuadi a offrire a quest’ultima persona il lavoro.

O supponiamo che tu abbia intenzione di mostrarti contrario ad un nuovo e importante investimento. Questa è la seconda volta che votate e tu in precedenza già ti sei espresso negativamente. Un collega sostiene che le condizioni siano cambiate, che il progetto risulti ora molto redditizio e che non vi possiate permettere di perdere questa opportunità. Dopo un’attenta analisi, noti che le sue argomentazioni sono davvero convincenti, ma voti di nuovo no. Qualcosa a proposito di ciò che ha detto non è per te rilevante.

Questi sono esempi di alcuni bias con cui abbiamo a che fare tutti i giorni. I bias sono degli schemi non consci – stranezze cognitive – che influenzano il modo in cui le persone vedono il mondo. Sembrano essere comuni alla maggior parte dell’umanità, forse corredo di un patrimonio genetico o culturale, ed esercitano la loro influenza al di fuori della consapevolezza. Non si può, infatti, andare a fare shopping, intervenire in una conversazione e optare per una soluzione senza obbedire a questo tipo di condizionamento.

In generale, tali “scorciatoie cognitive” si rivelano utili e opportune. Consentono agli individui di agire velocemente, dare giudizi efficaci e prendere decisioni con il minimo sforzo. Ma possono anche rendere un individuo cieco di fronte a nuove informazioni o incapace di tenere in considerazione alcune valide alternative in caso di scelta.

Certi bias sono così frequenti e diffusi che gli scienziati cognitivi gli hanno dato un nome. Alcuni, come il bias di conferma (che porta le persone a dare poca rilevanza a ciò che non avvalora le proprie ipotesi), risultarono determinanti nel verificarsi, ad esempio, delle crisi finanziarie. Il crac economico del 2007, in particolare, ebbe origine in parte anche dal bias del breve periodo: i banchieri scelsero di perseguire i guadagni immediati ignorando i rischi futuri. Altri due bias comuni, l’illusione di controllo e la fallacia della pianificazione, giocarono un ruolo importante nella preparazione del Giappone allo tsunami del 2011 e nell’attività di recupero di New York dopo l’uragano Sandy del 2012. Le due popolazioni coinvolte, infatti, rispettivamente sottostimarono il tempo e lo sforzo che ci vogliono per prepararsi a un potente fenomeno naturale e sovrastimarono la capacità di controllo sulle conseguenze negative di un devastante evento. Queste e altre valutazioni erronee portano molte grandi aziende e istituzioni a optare per delle soluzioni dannose e disfunzionali.

In un mondo iperconnesso, in cui le decisioni innescano una reazione a catena, liberarsi dai pregiudizi inutili non è mai stato tanto importante. Per questo motivo diverse imprese stanno impegnando delle risorse umane ed economiche nell’educazione ai pregiudizi. Le società statunitensi spendono in stima tra i 200 e i 300 milioni di dollari all’anno in programmi di diversità e di formazione alla sensibilità, in cui i dirigenti, i manager e tutti gli altri lavoratori vengono stimolati ad andare oltre i pregiudizi, soprattutto quando si compiono e sostengono delle scelte.

Purtroppo, fornire delle informazioni sui bias ne limita poco l’influenza. I pregiudizi umani si verificano al di fuori della consapevolezza e quindi le persone sono del tutto non coscienti del modo in cui quest’ultimi si verificano. Un individuo, infatti, non potrà mai “guardare oltre i propri bias”, perché non ci sarà mai niente da vedere. Sarebbe come cercare di misurare la quantità di insulina che si sta producendo.

Come si possono, quindi, superare gli effetti negativi dei pregiudizi? Collettivamente. Le organizzazioni e i gruppi possono scovare i bias come il singolo individuo da solo non potrebbe mai fare. Le pratiche team-based possono essere riprogettate in modo da identificare e contrastare subito i pregiudizi che emergono, riducendone così l’impatto.

Il primo passo sta nel riconoscere i tipi di pregiudizi più diffusi nelle organizzazioni. A tal fine, abbiamo raggruppato, in base alla natura cognitiva che li contraddistingue, i 150, o giù di lì, bias più conosciuti in cinque categorie: somiglianza (similarity), convenienza (expedience), esperienza (experience), distanza (distance) e sicurezza (safety). Il modello SEEDS™ definisce le caratteristiche e le strategie di mitigazione di ogni bias. Una volta che si conosce il pregiudizio che si sta trattando, è possibile, quindi, mettere in atto una tecnica di correzione efficace e prendere di conseguenza delle decisioni più adeguate.

 

 

Noemi Servizio