Conoscersi per stare bene con gli altri

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Ecco un’interessante notizia che riguarda le neuroscienze: usiamo la stessa area del cervello per pensare agli altri e a noi stessi.* Sentiamo le gioie e i dolori altrui in modo analogo a quello con cui percepiamo i nostri. Le motivazioni, frustrazioni e successi degli altri ci appaiono vivi e forti quasi quanto quelli che ci appartengono.

Cosa implica questo per il coaching?

Se pensiamo a chi ci circonda con la stessa parte del cervello che utilizziamo per ragionare su noi stessi, significa che la nostra capacità di capire gli altri è ragionevolmente correlata a quanto riusciamo a sapere su di noi. Per essere, quindi, dei buoni genitori, dirigenti, insegnanti, amici e partner, abbiamo bisogno di conoscere veramente quello che siamo. Per quanto riguarda la genitorialità, ad esempio, gli adulti che hanno vissuto infanzie difficili e sperimentato un cattivo rapporto con madre e padre, manifestano una certa tendenza poi a ripetere uno schema analogo con i figli.

Queste persone possono anche sviluppare una buona capacità di auto-riflessione, riuscendo a superare le proprie esperienze negative e ad imparare da quanto gli è accaduto. Infatti, chi è stato sensibilizzato a proposito e ha avuto modo di allenare l’abilità di riflessione su sé stesso, è riuscito in seguito a riconoscere e a rispettare le esigenze emergenti del figlio.

Non possiamo metterci nei panni degli altri se non capiamo noi stessi poiché potrebbe essere difficile pensare a chi ci è accanto in modo empatico e affine. Se la zona del cervello usata per meditare sulla propria persona è disorganizzata, se non si sa come ci si sente e per quale motivo, potrebbe non essere poi facile ragionare con coerenza.

Uno degli obiettivi principali del coaching è di aumentare la consapevolezza e capacità auto-riflessiva. I suddetti studi di neuroscienze hanno dimostrato che questa comprensione non è solo vantaggiosa per chi intraprende un percorso di coaching o di auto-conoscenza, ma anche per coloro che si relazionano con questi individui ne ricavano importanti benefici (maggiore rispondenza e vicinanza).

In Nepal (e nella maggior parte dei corsi di yoga), ci si saluta e lascia con la parola “Namaste”, che si traduce approssimativamente come “Il Dio in me, vede Dio in voi.” E proprio per fare questo, per riconoscere l’altro, per apprezzare quanto di buono ci può arrivare da chi ci è vicino, è necessario prima trovare ciò che di bello e prezioso sta dentro di noi.

 

 

Noemi Servizio

 

*da “Thinking about others, thinking about self…”, Ann Bets http://coachfederation.org/blog/index.php/189/