Il sasso e l’acqua: come il linguaggio fa accadere le cose

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Ti senti bloccato in una situazione e non sai come uscirne?
Ti senti di non avere abbastanza capacità e forze per gestire qualcosa che ti sembra insormontabile?
Potrebbe essere che dipenda dalle parole che usi per descriverti la situazione che ti disturba.
Il linguaggio che usiamo con noi stessi e gli altri ha delle forti ripercussioni sulla nostra realtà.
Oppure, il nostro cervello ci induce in qualche modo ad adottare un certo tipo di parole. E quelle stesse parole incastrano ancora di più il cervello in un circolo vizioso. Vediamo come accade e come possiamo cambiare.

La generale incompetenza del parlare

“Alcuni parlano un istante prima di pensare”
Jean de La Bruyère

Noi esseri umani abbiamo una e una sola cosa che ci distingue veramente dagli altri animali: parliamo! Maledizione…eccome se parliamo…e quanto parliamo!
Non sto dicendo “comunichiamo”: quello lo fanno tutti, proprio tutti, gli esseri viventi. Entro certi limiti lo fanno anche i minerali.
Mi sto riferendo proprio al “parlare”: articolare suoni con la bocca per emettere parole che hanno un significato (bello sarebbe se fosse anche comunemente accettato e concordato) in modo da far compiere all’altro le azioni che vorremmo.
La maggior parte di noi parla in modo corretto, forti di tutti gli esercizi di analisi logica e grammaticale fatti a scuola. Eppure non tantissimi di noi hanno una concreta idea di cosa dire per essere strategici a secondo di quello che vogliamo ottenere per l’altro o per noi. Spesso non siamo consapevoli che le nostre parole creano veramente la “realtà”.

Il sasso e l’acqua, l’oggetto e l’azione

“Il nostro linguaggio
influenza la nostra percezione”
Peter Senge

In alcuni post sul mio blog (“Il mondo dietro le parole” e “Parole piene ma vuote”) ho raccontato alcuni casi di miei clienti e su come il loro modo di parlare potesse essere fuorviante, perché usavano parole non specifiche o che esprimevano una certa “staticità”. Le parole erano: “posizionamento strategico” o “perdita d’efficienza”. Ripetendole, ti vengono in mente cose solide o cose fluide? E se ti concentri su parole come “amicizia”, “amore”, “benessere”, “felicità”, “libertà”? Pensi a cose statiche o a cose che si muovono?
In linguistica, queste parole sono dei sostantivi, cioè nomi che indentificano una cosa singola o collettiva. Sono diverse dai verbi, che invece sono parole che indicano un’azione. Inoltre si coniugano in vari modi, quindi cambiano la loro forma in relazione alla persona, al tempo e ad altre variabili.
Abbiamo quindi una differenza fondamentale:
i sostantivi sono fissi e i verbi sono variabili.
Inoltre le parole che abbiamo scritto sopra sono anche astratte, cioè non possiamo toccarle perché non sono dotate di dimensioni, forme, spessori, colori, temperature. Non possiamo nemmeno tentare di percuoterle e comunque non potrebbero suonare.
Questi sostantivi fissi e astratti hanno un nome e vengono chiamati “nominalizzazioni”, la cui definizione è “sostantivi che indicano la cristallizzazione di un processo”.
Per chiarire meglio, possiamo dire che la “felicità” sia la cristallizzazione del processo che ci ha portato ad essere felici. E in questo processo abbiamo compiuto tante azioni, anche se forse non ne siamo consapevoli. Per il “benessere”, il nostro organismo e noi facciamo azioni di continuo, inconsapevoli o meno, per stare bene.

Le parole nel cervello

“L’uomo agisce come fosse colui che dà forma e gestisce il suo linguaggio.
Invece è il linguaggio che domina l’uomo”
Martin Heidegger

Dal paragrafo precedente, qualcuno potrebbe dire: “Sì, bello tutto, ma sembrano sofisticazioni da intellettuale.”
Approfondiamo cosa ci dicono le Neuroscienze. Alcuni studi ci forniscono prove di quello che succede nel nostro cervello mentre sentiamo sostantivi e verbi. Le ricerche ci mostrano che, quando siamo esposti a sostantivi (e aggettivi) rispetto a verbi, si attivano parti differenti del cervello e diversi percorsi neurali.
Nello specifico i sostantivi vengono processati dalle stesse zone della corteccia cerebrale che associano oggetti a immagini.
Invece i verbi attivano le zone della corteccia cerebrale associate con i movimenti del corpo.
In altre parole, i sostantivi vengono trattati come oggetti, che hanno una forma, delle dimensioni, un peso, …
I verbi invece sono processati dalle aree cerebrali associate con il senso del movimento, dell’azione, del raggiungimento di qualcosa.

Sulla strategia nello sciogliere sassi e nel cristallizzare l’acqua

“La realtà è quel luogo e quel momento dove, se ti pungi con un ago,
ti esce del sangue rosso”
Haruki Murakami

Quindi il cervello tratta le categorie di parole in modo differente.
I sostantivi sono come degli oggetti, mentre i verbi sono come dei movimenti in serie a comporre un processo.
Quando usiamo sostantivi per rappresentare ciò che invece è un processo, nella nostra mente smettiamo di far scorrere una cosa che invece è fluida.
Usare verbi per descrivere un oggetto è un po’ più articolato e lungo, ma pur sempre possibile.
Dati questi presupposti, concentriamoci sull’uso strategico del linguaggio: dato che le parole creano la realtà che viviamo e quindi danno forma alle nostre esperienze, se “nominalizziamo” troppo, perdiamo parti di realtà, la rendiamo più fissa.
D’altronde, quando usiamo troppi verbi rispetto ai sostantivi per descriverci la nostra realtà, questa rischia di diventare troppo liquida e movimentata, priva di punti fermi.
Ecco quindi che ci viene utile sapere quali forme verbali usare e quando.
Ad esempio, se le nominalizzazioni che usiamo hanno per noi un significato disfunzionale, tendiamo a rimanere bloccati in una realtà opprimente, che ci soffoca. Parole come “stress”, “frustrazione”, “malessere”, “ansia”, appartengono a questa categoria. Così come anche i nomi di tutte le malattie…
Quando ci incastriamo con queste parole, la realtà diventa fissa, pervasiva e permanente. Per questo è possibile che perdiamo potere su noi stessi.

Ma possiamo modificare una cosa “solida”?
Ovviamente sì, con capacità, attenzione ed eleganza.
Ecco allora un paio di consigli per “sciogliere i sassi”.
Ipotizziamo che l’inconveniente sia lo “stress”. Dunque chiediamoci: “Come sono diventato stressato?” Qui è fondamentale cambiare il sostantivo in verbo. Lo “stress” diventa “diventare stressato”, in questo modo rendiamo più fluido il pensiero e la realtà percepita grazie all’uso del verbo. Poi iniziamo a lavorare sulla risposta, modificando uno o più componenti del processo del “diventare stressato”.
Un’altra tecnica sfrutta qualcosa che abbiamo già decritto prima. Prendiamo sempre come esempio lo “stress”. Per il cervello è una cosa fissa, come un oggetto. Se vogliamo disfarci un oggetto che non serve e non vogliamo, possiamo ridurlo in pezzi. E quindi chiediamoci: “Com’è fatto questo stress? Che caratteristiche fisiche ha? Se avesse una forma, che forma sarebbe? Se avesse un peso, dove lo sentiresti nel corpo? E quanto peserebbe? Ha per caso una temperatura? Oppure, se ci pensi, ha un colore?” E via così…
Facciamoci domande per scoprire quali caratteristiche fisiche sono importanti, usiamo la fantasia per cambiarle e vediamo cosa succede. Cosa succede se modifichiamo la forma dello stress? Se, per esempio ha una forma irregolare con angoli appuntiti, cosa accadrebbe se invece ci mettessimo dei contorni smussati? Oppure se cambiassimo la temperatura da caldo a tiepido?

E se invece abbiamo bisogno di cristallizzare l’acqua?
Usiamo al contrario gli stessi strumenti appena esposti. Vogliamo aumentare il nostro “senso di libertà” o di “tenacia”? Ripercorriamo nella nostra mente quel processo grazie al quale ci siamo sentiti particolarmente “liberi” (o “tenaci”) e diamogli un’etichetta, un nome fisso, per renderlo più simile a un oggetto. Nel nostro esempio sarà appunto “senso di libertà” o “tenacia”.
Volendo aumentare le sensazioni positive, possiamo fare domande simili a quelle già descritte prima per “ridurre in pezzi l’oggetto” ma stavolta con l’obiettivo di rendere maggiore la piacevolezza associata. Il “senso di libertà” ha, per esempio, un colore blu e un silenzio intorno? Cosa succede se rendiamo questo blu più intenso e mettiamo qualche musica suadente: migliora la percezione o no? E se il blu diventa meno intenso? E se mettiamo un po’ di musica techno?

Insomma, giochiamo con le nostre percezioni e con le sensazioni associate. Possiamo veramente fare grandi cose!

E quindi…

“I limiti del mio linguaggio
sono i limiti del mio mondo”
Ludwig Wittgenstein

Abbiamo una serie di strumenti meravigliosi che a volte non sappiamo come sfruttare pienamente. Il nostro cervello può veramente fare la differenza, così come il nostro linguaggio. Più siamo consapevoli di come funzionano, e meglio possiamo usarli. In questo modo possiamo migliorare la qualità dei nostri pensieri, delle nostre decisioni e delle nostre azioni. Il modo in cui parliamo può davvero aiutare gli altri e aiutare noi stessi.

Se desideri espormi il tuo caso, con i tuoi sassi e la tua acqua, scrivimi o chiamami. Sarò felice di parlare con te.

Riferimenti:

G. Krishnan and S. Tiwar – “Selective Impairment of Verb Retrieval in Subcortical Aphasia”

D. Crepaldi et al. – “Noun-verb dissociation in aphasia: the role of imageability and functional locus of the lesion”

D. Perani et al. – “The neural correlates of verb and noun processing. A PET study”

F. Pulvermüller et al. – “Nouns and Verbs in the Intact Brain: Evidence from Event-related Potentials and High-frequency Cortical Responses”

M.C. Silveri et al. – “Grammatical class effects in brain-damaged patients: Functional locus of noun and verb deficit”

D. Crepaldi et al. – “Naming of Nouns and Verbs in Aphasia: Preliminary results of a word retrieval task in a sentence context”

C. Dubé et al. – “Independent effects of imageability and grammatical class in synonym judgement in aphasia”

K. Shapiro and A. Caramazza – “Grammatical processing of nouns and verbs in left frontal cortex”

C. Luzzatti and G. Chierchia – “On the nature of selective deficits involving nouns and verbs”

A. Caramazza and A. E.Hillis – “Lexical organization of nouns and verbs in the brain”

 

 

Mario Maresca