L’unico conto che conta

Istinto di sopravvivenza e emozioni

In un oceano di quasi cinquecentocinquanta milioni di anni
fa, una creatura cambiò il corso della vita sul pianeta:
inventò la predazione. Non che lo fece di proposito: trovò
che fosse, in tutta semplicità e senza alcun
sentimentalismo, conveniente.

Se oggi possiamo gradire un’insalata di gamberi o una
grigliata di crostacei, è interessante sapere che il
predatore di cui sopra sia stato un gambero. Non un
gamberetto normale: una bestia di quasi due metri, con
occhi sproporzionati e con appendici di un certo riguardo
intorno alla bocca, che gli conferivano un aspetto
francamente orrendo.

L’Anomalocaridide (bruttino anche il nome…) può vantarsi
di essere stato il primo ad avere sviluppato sensi atti a
percepire la presenza di altre creature buone da mangiare
nelle vicinanze e avere raffinato un apparato buccale per
“aspirare” dal fondale marino le sue prede, per lo più
vermi o altri invertebrati striscianti.

Il cervello come com-plesso e non (solo) per pensare.

Anche prima del rapace gamberone si lottava per
sopravvivere ma era assente la parte di inseguimento,
perché l’alimentazione era di tipo filtratorio, passivo. Il cibo
che non aveva la fastidiosa tendenza ad andarsene troppo
in giro, alla disperata ricerca di fuga da un altro essere che
cercava di papparselo.

Questa attività di caccia, preoccupante per le prede ed
energeticamente onerosa per tutti i protagonisti, ha dato il
via a una escalation evolutiva agli armamenti: i corpi si
modificarono e diventarono più complessi, per percepire
cibo o pericolo, e muoversi meglio per catturare o eludere.

Diventò necessario sviluppare un centro di comando per
gestire organi e apparati sempre più complessi.

Nacque così un rudimentale cervello, poco più di un
semplice aggregato di cellule nervose: tecnicamente,
un “plesso”.

Quasi contemporaneamente nacque l’esigenza di
qualcosa che aiutasse gli animali a concentrarsi sul
momento presente e a preparare il corpo all’azione: le
emozioni.
Siamo in piena archeologia dei sentimenti, del
pathos, delle pulsioni, delle passioni.

Da questa stringata storia di come si sia evoluto l’organo
che occupa quasi tutto lo spazio nella testa, si trae una
certezza: il compito più importante del cervello non è
pensare!

Il suo compito è gestire i sistemi, gli apparati e gli
organi del corpo di ogni animale per mantenerlo in
vita.

L’imperativo categorico della biologia di ogni essere
vivente è solo uno: sopravvivere, a ogni costo!

Addirittura, anche quando il cervello produce pensieri e
sentimenti coscienti (patrimonio certo degli umani, per gli
altri mammiferi possiamo solo fare illazioni), sono per lo
più al servizio della gestione del corpo.

Regolare i livelli dei fluidi, veicolare i nutrienti, gli ormoni e i
gas respiratori, modulare le tensioni e rilasciamenti
muscolari, tenere in ordine dei ritmi e dei cicli fisiologici:
queste e altre funzioni sono il prodotto del sistema
nervoso! Vigila sui nostri livelli di energia: se ce n’è troppa
da una parte, non ne abbiamo in un’altra e siamo
squilibrati (in senso letterale e metaforico).

Ecco come gran parte dell’attività del cervello e dell’intero
sistema nervoso avviene a nostra insaputa, al di sotto di
ciò che chiamiamo consapevolezza: capire le esigenze del
corpo momento per momento, essere pronti per quello
che accadrà tra un millisecondo ed eseguire un piano per
soddisfarle in anticipo.

Per esempio, ogni mattina al nostro risveglio, il sistema
nervoso prevede l’energia di cui avremo bisogno per
alzarci dal letto e iniziare la giornata. Così fa in modo che
una quantità definita dell’ormone cortisolo si riversi nel
torrente sanguigno, così da favorire, a cascata, la
disponibilità di glucosio (noto ai più come “lo zucchero”)
per ottenere rapida energia. Energia… di nuovo…

Conto in rosso, bandiera bianca: la gestione del corpo
da parte del nostro sistema nervoso.

Il nostro sistema nervoso gestisce il corpo grazie a
una sorta di “conto economico”:
tiene traccia delle
risorse in riserva rispetto a quelle da investire per le nostre
ordinarie attività.

Se parliamo di funzioni fisiche, tangibili, ci viene più facile
pensare a come il cervello supervisioni il tutto.

Il concetto di “conto”, con i relativi depositi e prelievi,
risulta invece impalpabile quando consideriamo i
comportamenti del nostro intero sistema mente-corpo.

Eppure è realtà: ogni pensiero, ogni sensazione di
felicità, rabbia, soggezione che proviamo, gentilezza
che offriamo, insulto che urliamo, è il risultato dei
“calcoli” del cervello.

Questa funzione dell’attività del sistema nervoso ha molte
implicazioni per farci comprendere noi stessi.

Intanto il pensare, attività molto ammirata ed esaltata, a
cui tentiamo di aggrapparci come Linus alla sua coperta,
nell’evoluzione viene molti millenni dopo il percepire, il
rispondere d’impulso a uno stimolo e il “sentire”.

E poi, il pensiero non ha (e non dovrebbe avere) più
dignità dell’acquisizione d’informazioni dall’ambiente e del
provare emozioni. Insieme, queste tre componenti
costituiscono il sistema di “percezione-reazione” e
danno forma alle nostre vite.

Se sopprimiamo o inibiamo l’espressione di una di queste
componenti, le nostre esperienze risultano impoverite e
siamo meno efficaci di quanto sarebbe invece possibile. E
invece…

Noi umani siamo trasduttori di energia, proprio come
gli altri esseri viventi.

E invece, si sente spesso parlare con sospetto di una
persona “che si emoziona” o è “troppo sensibile”.
Nel
mondo del lavoro, poi, queste caratteristiche vengono
additate quasi come una colpa.

Sia chiaro, gli eccessi non vanno mai bene: se è vero,
come diceva Paracelso, che “Solo la dose fa in modo che
il veleno non faccia effetto”
, questo vale sia per le
emozioni sia per la razionalità. Essere schiavi delle proprie
emozioni è un’attitudine tanto molesta quanto la tendenza
a iper-analizzare e all’iper-vigilanza rispetto agli stimoli.

“Faremmo bene a renderci conto che, in fondo, noi
umani siamo solo dei trasduttori di energia: la
prendiamo dall’ambiente e nell’ambiente la
rimandiamo. Proprio come tutti gli altri esseri viventi.”

Questo diceva il mio professore di Psico-Biologia
all’università. Nei momenti di difficoltà ripenso spesso a
questo romanticismo buttato alle ortiche di cui fu
protagonista il docente, che però ha lasciato un segno
importante nella mia vita: la consapevolezza che,
nonostante le mirabilie e il loro contrario, anche, che noi
umani abbiamo fatto su questa terra, alla fine siamo dei
trasduttori di energia. Magari questo pensiero aiuta, ci
ridimensiona, ci fa concentrare e ci può dare sollievo.

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Mario Maresca