La verità sul famigerato 7% – 38% – 55% pt.3

Portrait of happy teenage friends sitting and chatting in cafe

Per correttezza riportiamo le parole dello stesso Mehrabian, che si premurò di spiegare meglio alcuni razionali dei risultati ottenuti: “Vi prego di notare che questa ed altre equazioni inerenti l’importanza relativa dei messaggi verbali e non verbali, sono derivate da esperimenti sull’espressione di sensazioni e atteggiamenti (ad es.: mi piace – non mi piace). A meno che un comunicatore non stia parlando delle sue sensazioni e atteggiamenti, queste equazioni non sono applicabili”.

Tralasciamo altri commenti sul metodo dei due studi e le successive dispute e over-interpretazioni intorno ai risultati emersi. L’obiettivo unico in queste mie righe è mettere sull’avviso circa gli effetti che questi risultati hanno avuto e continuano ad avere sulle folle che popolano le aule di formazione e che seguono chi alimenta questa favola. Per fortuna ci sono professionisti e colleghi seri che sanno attribuire l’importanza che i risultati di queste ricerche meritano, e soprattutto sanno inserirle in un contesto stimolante e utile.

Dal mio punto di vista, da questi studi dobbiamo trarre il valore fondamentale che hanno le componenti di “forma” della comunicazione, cioè il paraverbale e il non verbale. In realtà, al naturale, ciascuno di noi ha una limitata capacità di controllare queste due componenti perché esse sono sotto il diretto controllo di parti del nostro cervello fatte per non essere facilmente “addomesticabili”. In effetti, solo chi ha fatto studi per diventare attore o cantante ha una certa capacità di modulare il proprio para verbale. E comunque, in una comunicazione “normale” nemmeno loro hanno la possibilità di controllare completamente come organizzare la voce.

Lo stesso, ma in misura maggiore, vale per il non verbale: chi può dire di riuscire a controllare le espressioni del viso? O i gesti nella loro interezza? E che dire del pallore, rossore, tremolio delle mani, respirazione accelerata, sudorazione? Queste ultime caratteristiche sono del non verbale a pieno titolo e le loro radici sono sepolte in grandi profondità del nostro cervello, alle dirette dipendenze delle nostre emozioni. E non sono controllabili, non almeno per i comuni mortali e non in uno scambio comunicativo “normale”, come possono essere i nostri scambi quotidiani.

Dobbiamo dare agli studi di Mehrabian e alle loro conclusioni la corretta rilevanza e non continuare a diffondere una teoria basata su situazioni limitate al solo laboratorio e non estendibile alla realtà della nostra comunicazione quotidiana.

Quello che possiamo trarre dagli studi, ma soprattutto dalla vita di tutti i giorni, è che,

  • in una comunicazione normale, gli aspetti di “forma” (paraverbale e non verbale) contano moltissimo, almeno quanto quelli di “contenuto” (verbale) e conviene tenerli in stretta considerazione quando dobbiamo valutare l’affidabilità delle cose che ci vengono dette.
  • Il “come” diciamo le cose conta molto (e non ci volevano studi per confermarcelo) quando vogliamo essere persuasivi, credibili e attenti ad aspetti di relazione con gli altri.
  • Il “cosa” diciamo ha una grande importanza ma per renderlo credibile ed accettabile deve essere sostenuto dalle componenti di forma che gli danno forza e sostanza.

Tutto questo scritto è per aumentare la conoscenza e per consolidare una cultura fondata su elementi il più possibile scientifici. Sono consapevole che la psicologia e la comunicazione non possono essere annoverate tra le scienze “dure”, cioè fondate sulla matematica e sul concetto galileiano di scienza (sperimentazione con risultati sempre uguali e verificabili oggettivamente). Non per questo siamo autorizzati a prendere qualsiasi cosa come oro colato, evitandoci il disturbo di controllare le fonti e fare noi stessi degli esperimenti validi.

 

 

Mario Maresca