La manifattura italiana…pronti alla centrifuga???

lavatrice

La tradizionale chiusura estiva degli stabilimenti italiani di solito porta buonumore agli operai che possono finalmente rilassarsi dopo undici lunghi mesi trascorsi sulla linea di produzione. Negli ultimi anni, però, in molti hanno passato le vacanze chiedendosi se al loro ritorno ci sarebbe ancora stato un lavoro ad attenderli.

Quasi una ditta su cinque, infatti, è stata chiusa tra il 2009 e il 2012* e la carneficina, ahinoi, non volge al termine. La potenza della manifattura italiana in Europa è seconda solo a quella tedesca, ma la concorrenza estera e la crisi nazionale stanno fortemente minando la solidità di questo piazzamento.

Due sono state le crisi recessive che hanno determinato il declino della manifattura. Durante la prima, tra il 2008 e il 2009, la produzione è scesa del 24%; la seconda, che ha avuto inizio nel 2011, ha determinato un crollo dell’output di quasi il 10%. Fermi ora al 26% siamo sotto il picco del 2007.

Se da una parte il settore dell’abbigliamento e degli accessori di lusso se la sta cavando piuttosto bene perché la domanda è sostenuta dai nuovi ricchi dell’Est emergente, dall’altra i marchi industriali risultano duramente colpiti: nel complesso, la flessione dell’industria tessile è del 35%. Una percentuale simile riguarda anche il materiale elettrico mentre per le automobili il calo si annovera intorno al 45%. Lo scorso anno sono state 397.000 le vetture italiane assemblate all’interno dei capannoni, nel 2007 erano ben 911.000.

Le cose non vanno meglio per quanto riguarda gli elettrodomestici, un altro distretto in cui l’Italia figurava come leader mondiale. Il successo in questo mercato delle aziende del Belpaese è stato tale da diventare oggetto di studi organizzativi negli anni Sessanta e Settanta. Oggi i dati restituiscono il quadro di un settore sotto assedio: nel 2007 l’Italia produceva 24 milioni di elettrodomestici, mentre l’anno scorso tra frigoriferi, lavatrici, lavastoviglie e cucine, non si raggiungono i 13 milioni!

“La crisi è servita a mettere in luce le fragilità sistemiche dell’Italia come gli alti costi del lavoro, la farraginosa burocrazia e la carenza di infrastrutture” , dice Antonio Guerrini, direttore generale del CECED Italia, l’Associazione di Categoria che rappresenta i produttori di Apparecchi Domestici e Professionali. “L’unico modo per sopravvivere alla debolezza della domanda e alla crescente concorrenza delle giganti ditte di elettrodomestici cinesi, è quello di trasferirsi in paesi a basso costo, come gli imprenditori italiani stanno facendo. La produzione di prodotti entry-level di massa o in Italia non è più competitiva”, sostiene Guerrini. Se così fosse, la maggior parte degli operai italiani rischia di perdere il proprio impiego.

“Molti hanno già fallito” commenta Innocenzo Cipolletta, economista presso l’Università di Trento  e membro di diversi consigli di amministrazione, “e la difficoltà crescente nell’approvvigionamento dei materiali, sta costringendo le grandi imprese a ricreare l’intera catena all’estero, accelerando l’indebolimento delle fabbriche italiane.”

L’assenza di una soluzione alla crisi dell’euro e la latitanza di radicali riforme economiche non consentono di prendere efficaci provvedimenti, nel breve periodo, volti a proteggere la produzione nazionale. Nel prossimo futuro, pertanto, i produttori italiani cercheranno di vendere quello di cui dispongono a dei consumatori che non hanno alcuna fretta di sostituire le proprie vecchie e scricchiolanti cucine. In un clima di incertezza politica ed economica, con gli aumenti delle tasse e le ingenti perdite di posti di lavoro, gli italiani non sono propensi a spendere…come condannarli?

 

 

Noemi Servizio

 

*The Economist “A washout” 10 Agosto 2013