A tu per tu con la Tristezza pt.2

tristezza

La tristezza è un’emozione sorda e perniciosa che porta a una passività generalizzata. Quando siamo tristi, agire è difficile e pesante. È uno stato fisiologico molto diverso rispetto alla paura e alla rabbia: entrambe queste emozioni tendono ad attivarci, seppur in misura differente.
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Capiamo quindi che ci deve essere un significato sfuggevole nel perché dell’esistenza della tristezza. Perché mai un animale dovrebbe essere passivo? Perché viene da dire: “essere a terra” oppure “essere come un sacco vuoto”?
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Senza l’esistenza (anche) della tristezza e di tutte le sue sfumature, non avremmo momenti per permettere al nostro corpo di ricaricarsi, di riprendere energie. Dopo un evento che ci ha abbattuto, abbiamo bisogno reale di stare con noi stessi a “riempire nuovamente quel sacco svuotato”. Se non ci fosse questo tempo per noi, non sarebbe facile riprendersi di nuovo.
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È anche un tempo per riconsiderare aspetti di noi stessi e della nostra vita. In fondo si dice (e credo che in qualche misura possa essere vero) che nella vita s’impara dalle sconfitte e dalle perdite. Così impariamo a relativizzare le cose: dare peso a nuove sfide e scartarne altre che non ci appartengono più.
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Ecco perché, in qualche misura, non è corretto cercare di privarsi in modo forzato e artificiale della naturale tristezza di cui stiamo parlando. Molti cercano di evitarla a tutti i costi, per non soffrire. Così facendo, spesso succede che la sofferenza è solo rimandata e tende a ripresentarsi aumentata.
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E quindi, siamo condannati? Diciamolo chiaramente: a nessuno piace essere triste! Ma se accade, abbiamo una sola possibilità: starci e passarci attraverso, finché l’emozione non si attenua fino a sparire. O almeno fino a che non fa più così tanto male, da permetterci finalmente di rimetterci in moto con nuovi stimoli.
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Abbiamo una tecnica per almeno contenere la tristezza? Possiamo costruirci un tempo e uno spazio in cui relegarla: nei momenti difficili, in cui “il sacco è particolarmente vuoto”, scegliamo una mezz’ora durante la giornata (sì, proprio trenta minuti d’orologio) e uno spazio in casa che diventerà transitoriamente “il luogo della tristezza”. Volontariamente pensiamo alla nostra perdita, nei suoi dettagli: pensieri e sensazioni associate, immagini, suoni, sensazioni, parole, sapori,… Stiamo lì finché non suona la sveglia che avevamo puntato, trenta minuti dopo. In quel preciso momento, si lascia lo spazio dedicato, ci si lava il viso (meglio fare una bella doccia, se possiamo) e si ricomincia con le attività che ci aspettano.
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Dobbiamo abituarci a considerare tutte le nostre emozioni come un bene prezioso per il nostro benessere generale. Rifiutarle, provare a controllarle non serve, anzi alla lunga sarà peggiore. Utile però sapere come indirizzarle in maniera funzionale e produttiva. E sapere che senza gli alti e bassi delle emozioni, non potremmo assaporare pienamente la bellezza di questa vita.
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Mario Maresca